Il Territorio

 

Le origini di Brancaleone risalgono molto probabilmente intorno al V ed il VI secolo, a causa dei trasferimenti dei monaci Greco-Bizantini, in fuga dall’oriente, sotto l’incalzare della persecuzione Iconoclasta musulmana.

484755_10200117622360917_998836713_nL’arrivo dei monaci BIZANTINI nella Bovesìa o nel comprensorio dell’antica diocesi della città di Bova, di cui fa parte la terra di Brancaleone, è stato di notevole importanza, in quanto, probabilmente alcuni centri urbani sono sorti per la loro presenza e per le opere di beneficenza che prestavano. Secondo il Natoli, cronista e storico attendibile, l’attività economica e culturale dei monaci basiliani contribuì, in modo profondo, ad arricchire la civiltà locale di nuovi elementi culturali, provenienti dal mondo greco-orientale. Ne derivarono forme nuove di civiltà nei costumi, nei riti religiosi, nella lingua, di straordinaria originalità. Favorito dalla “grecanicita’” locale, il monachesimo ebbe un notevole sviluppo; molti furono conventi e chiese da loro costruiti, e i loro resti costituiscono un patrimonio di notevole valore storico ed artistico. In un primo momento si adattavano ad abitare nelle varie grotte scavando dei cunicoli comunicanti per non essere preda delle scorrerie barbariche e saracene, successivamente nel periodo dei normanni, intorno al XI e XIIsecolo costruivano e dimoravano nei monasteri. I monaci basiliani, molti dei quali erano dotati, oltre che di straordinario spirito di iniziativa, di cultura “greco-orientale”, vivevano una vita di penitenza e di preghiera, ma anche si dedicavano ai lavori manuali, all’apicoltura al lavoro nei campi, sempre disponibili a dare aiuto materiale e morale alle popolazioni locali, che si avvicinavano a loro con grande fiducia, fino a formare in vicinanza dei monasteri veri e propri agglomerati urbani.

Probabilmente anche Brancaleone Superiore è sorto con l’aiuto dei monaci: si ha infatti notizia che le grotte di Brancaleone scavate nella roccia, sono di quell’epoca, che verso la fine del 1300 vi era un monastero con otto monaci, che nel 1310 vi era una chiesa protopapale a Pressoceto, si ha anche notizia che S.Maria di Tridetti, famoso monumento bizantino (chiesa e convento) nella terra di Brancaleone, versava la decima alla diocesi di Bova. Inoltre il Natoli scrive :”Ricordo di aver letto un testamento greco del 1200 in cui l’abate manifestava la volontà di cedere i suoi beni col patto che sopravvivendo alla moglie, fosse un giorno ricevuto come frate. Così nacquero i beni semplici come San Nicola di Brancaleone (chiesa granciale).”

Secondo quanto scrive Sebastiano Stranges in “Calabria sconosciuta” (n. 69 gennaio-marzo 96), le grotte di Brancaleone Superiore sono delle chiese-grotte. “Una chiesa grotta è ancora intatta con un pilastro centrale e motivi architettonici che si dipartono dal pilastro e corrono sulla volta. Ad oriente è ancora visibile quel che rimane di un altare e sul suo lato destro, una croce graffita con ai piedi della stessa un pavone stilizzato nell’atto di reverenza verso il sacro simbolo. Essenzialmente la grotta è tipologicamente affine alle “grotte chiesa” dell’Anatolia.
A Brancaleone altre grotte, sono presenti anche distanti dal centro abitato. Una tra le più interessanti è ubicata sempre a nord nella parte bassa della formazione rocciosa nei pressi della pista per i piani di Campolico. Questa grotta presenta tre croci graffite, delle quali una di stile diverso. ” Per quanto riguarda il nome, anticamente la terra di Brancaleone si chiamava Sperlinga o Sperlonga, dal latino Spelunca e dal greco Spélugx, con il significato di caverna o spelonca. Le origini di Brancaleone Superiore, risalgono presumibilmente al VI-VII secolo, con la presenza dei monaci che vivevano in chiese-grotte, ancora visibili; sopra di esse fu costruito un castello, presumibilmente intorno all’anno 1300: un originale castello medievale, non lontano da reperti archeologici sia della Magna Grecia e sia dell’epoca Romana.

12002965_10206383810051693_9174374321001428084_n

531626_10200115033936208_1531175057_n

Considerando la presenza delle chiese-grotte, probabilmente l’antico nome di Brancaleone, e cioè Sperlinga o Sperlonga era stato dato in base allo specifico significato della parola, sia che derivi dal greco sia che derivi dal latino: caverna o spelonca.

Intorno al 1300 veniva dato il nome di Brancaleone; sulla precisa derivazione di questo nome non abbiamo nessuna certezza, ma soltanto qualche ipotesi, fatta da vecchi autori, come il Barrio, secondo il quale il nome di Brancaleone potrebbe derivare dalle zampe anteriori del leone, volgarmente dette branche; altra ipotesi è che il nome sia stato dato per la presenza in questa zona del fiore di una pianta chiamato “boccaleone”, poichè qualche vecchio autore ha scritto di Brancaleone chiamandolo Boccalionem. Anche noi abbiamo azzardato una nostra ipotesi per quanto riguarda il nome di Brancaleone, e cioè che il nome sia stato dato in onore e per riconoscimento al valore militare di un miles che portava proprio tale nome. Consultando i registri angioini presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria si nota che intorno al 1300 un cavaliere di nome Andrea Brancaleone, discendente dell’antica e nobile famiglia del principe della Massa Trebaria nel Pesarese, era presente, prima in Calabria e successivamente in Sicilia. Inoltre, abbiamo notato, consultando i registri quinternioni presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, che nel 1566, per un certo assenso, alla vendita fatta da un certo don Carlo Spinello “cum pacto de retrovendita”, a Pietro Iacono Brancaleone della “terra di Santa Cristina e dei suoi casali”. Quindi possiamo dire di avere la certezza documentata che intorno al 1500 una nobile famiglia feudataria con il nome di Brancaleone si trovava in Calabria, e cio’ da’ credibilità alla nostra ipotesi.

12243212_10206707303378824_1245410868355032223_nNel 1364 la terra di Brancaleone fu data in feudo ad Antonello Ruffo, discendente dei Conti di Sinopoli, e a questa casata rimase per quattro generazioni, fino alla morte di Antonello figlio di Geronimo, avvenuta a Palizzi nel 1515. Nella prima metà del 1400, Brancaleone aveva vissuto un periodo di crisi, con un accentuato spopolamento, poichè il feudatario Geronimo Ruffo chiese una riduzione delle collette per la perdita di molti fuochi. Nel 1489-1494 Brancaleone faceva parte di quell’elenco di castelli che Alfonso D’Aragona riteneva di dover fortificare per potenziare le difese del Regno. l’ultima discendente dei Ruffo di Brancaleone è Geronima, la quale va in sposa ad Alfonso de Ayerbo signore di Simari, il quale diviene signore di Brancaleone.
Quindi dai Ruffo si passa alla famiglia de Ayerbo d’Aragona, cosi’ che la signoria feudale di Brancaleone, alla morte di Alfonso ( 4 giugno 1520), viene così trasferita nella persona di Michele d’Aragona de Ayerbo.
Nel 1548 la successione passa al figlio Alfonso, che con speciale patto vende la baronia a Troiano Spinelli Marchese di Mesoraca. Il successore, Giovanni Battista Spinelli, considerando il patto stabilito, rivende la terra di Brancaleone con il suo casale (Staiti) al predetto Alfonso d’Aragona. Nel 1571, Don Alfonso de Ayerbo d’Aragona, conte di Simeri, vende a Don Cristofaro La Rocca, nobile di Messina, la terra di Brancaleone col suo castello, per ducati 20.000 (cum pacto de retrovenendo).

Ma poco dopo, la detta terra di Brancaleone viene rivendicata dal conte Alfonso de Ayerbo, che ne fa vendita per 30.000 ducati, alla nobile messinese Donna Eleonora Spadafora, consorte di un altro nobile messinese, Federico Stayti, che per la morte del figlio Andrea, concede poi il possesso di quel territorio al nipote Federico.

Nel 1592, questo Federico acquista la terra di Bruzzano, e poi ottiene (10 settembre 1607) il privilegio del titolo di marchese di Brancaleone con il possesso del suo territorio. Titolo e territorio passano poi al figlio Diego, che aggiunge al proprio il cognome d’Aragona. Morto però senza prole, gli sara’ erede la sorella Ippolita nata a Brancaleone nel 1605, mortavi il 17 aprile del 1674 e fu seppellita nel monastero degli eremitani di S.Agostino.

Con lei il marchesato di Brancaleone passa in casa Carafa, avendo ella sposato Vincenzo Carafa, poi divenuto duca di Bruzzano, figlio di Fabrizio, primo principe del territorio di Roccella. Di tale famiglia ancora oggi rimane a Brancaleone Marina il palazzo della la residenza estiva. Con i Carafa, sarà erario della camera marchesale per Staiti e Brancaleone il barone Don Carlo Bologna. Erede di Vincenzo e Ippolita sara’ Giuseppe che però morira’ prima di avere avuto l’intestazione, cosi’come l’altro successore, Vincenzo di cui diventa’ erede il figlio Gennaro.
Il 9 dicembre del 1774, l’intestazione viene fatta in nome del legittimo erede, Vincenzo VII Marchese di Brancaleone, che sara’ l’ultimo feudatario, prima dell’abolizione, per lo meno sul piano formale, delle prerogative di feudatario. Nelle antiche carte topografiche, è riportata una localita’, in vicinanza di Brancaleone marina, denominata Torre di Sperlinga, che ancora esiste. Su una delle pietre con cui è stata costruita la torre, si leggeva sino a tempi recenti, una scritta in latino (M.MIN….Bellum gesse…Sperlungae…..Dux erat…..recatus et sepoltus), ormai scomparsa, e di incerta decifrazione. La torre è stata costruita intorno al 1600 per sorvegliare il tratto di costa sottostante dalle invasioni saracene, e appositamente era stato costituito un corpo militare di sorveglianza, con uomini a cavallo che venivano detti cavallari i quali solitamente appartenevano alle nobili famiglie del posto. Per mantenere questo corpo militare vigeva anche un criterio della spesa secondo il quale le popolazioni residenti entro dodici miglia dal mare pagavano la tassa per intero, oltre questa distanza la somma veniva dimezzata. Nel 1605-06, l’addetto alla sorveglianza era il “torriero” GiovanBattista Marzano; un secolo dopo, nel 1707, tale compito venne affidato a Carlo de Lorenzo.
La chiesa madre di Brancaleone Superiore, era la parrocchia dell’Annunziata, chiesa protopapale, situata, in alto, al centro del paese; all’interno della chiesa vi era un sotterraneo dove venivano seppelliti i sacerdoti e qualche nobile del paese; una leggenda narra di un sacerdote Don Carlo Bologna, seppellito seduto e legato a una sedia.

15925_10204609208367760_58539832481759536_nDove c’è l’attuale chiesa, ormai in rovina, costruita nel 1939, vi era un convento di S.Agostino, e il cronista storico Bartarelli rileva la bellezza di una più antica chiesa, con un portale del 1500, con suppellettili sacre antiche, con un altare in prezioso marmo lavorato. Sempre a Brancaleone Superiore, e precisamente nella proprieta’ Maddalone, vi è una grotta, larga all’ingresso un metro, alta m.1.95 e lunga m.1.80; ha due nicchiette: nella parete destra e in quella di fronte all’entrata. Gli affreschi sono meglio conservati nelle pareti di fondo; nella nicchia è raffigurata la madonna in atto di adorazione del bambino, adagiato in fasce e ai suoi lati sono raffigurati un corteo di Santi e Sante, martiri, vergini e monaci; lo stile sembra rinascimentale e la foggia del terzo Santo di destra, un monaco imberbe e con una sottile corona di capelli, è, a differenza del primo di stile occidentale(una pregevole descrizione della grotta e di un suo dipinto murale, denominato della “Madonna del riposo” ci ha dato il professore Domenico Minuto, nel 1966, publicato in “Catalogo dei monasteri e dei luoghi di culto tra Reggio e Locri).


La religiosita’ e la devozione cristiana, ma soprattutto motivi di prestigio, portava alcune nobili famiglie a fare costruire chiese-cappelle nelle loro proprieta’ e inoltre festeggiavano annualmente con festeggiamenti popolari un santo o una madonna. La famiglia Vitali festeggiava San Giuseppe, i Musitano la Madonna delle Grazie e i de Angelis la Madonna dell’Immacolata.  i era una chiesa nella localita’ denominata S.Costantino, che apparteneva alla famiglia Manzo, o de Manzi; si legge nel testamento, conservato negli atti notarili presso l’Archivio di Stato di Locri, che Donna Grazia Manzo, o de Manzi, dopo aver nominato i suoi eredi, chiede di essere seppellita sotto l’altare della chiesa di S.Costantino, di proprieta’ della stessa.

Consultando i registri delle chiese -cappelle soppresse, presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, abbiamo notato la registrazione, con data 6 marzo 1793, di una chiesa cappella dentro il fondo denominato Martello, di proprieta’ di Don Vincenzo de Angelis, e con data 27 marzo 1792 di una chiesa -cappella nel fondo denominato pantano o vignazza, di proprieta’ di Don Giulio Vitale. Oltre alle chiese-cappelle già nominate, vi erano la cappella del Santissimo, la cappella della Madonna delle Grazie, la cappella di S.Leonardo, del Rosario, di S.Anna, di S.Caterina, e del Purgatorio. Nel 1740, Brancaleone assieme a Palizzi, Bova, Bianco, Casignana ed altri paesi, subiva una forte carestia causata da una invasione di cavallette che avevano distrutto tutto quello che era stato seminato.
Il terremoto del 1783 provoco’ gravi danni in quasi tutta la Calabria Ultra, a Brancaleone anche se non fu registrata nessuna perdita umana, vi furono danni per piu’ di venticinquemila ducati.
Nel 1799, Brancaleone subi’ un forte attacco da parte dei francesi e dei loro seguaci.
L’ordinamento amministrativo disposto dal Generale Chianpinnet, nel 1799, includeva Brancaleone nel cantone di Bova. Successivamente, la legge francese del 1806, lo dichiarava Universita’ nel cosiddetto governo di Bianco e distretto di Gerace. Il riordino del 1811, col quale venivano istituiti i comuni, lo riconosceva tale ponendolo nel circondario di Staiti (divenuto centro mandamentale per i paesi limitrofi), ma dividendo i demani ex feudati ed ecclesiastici che avevano in comune. Nel 1826 il comune di Brancaleone ottenne il permesso di poter organizzare una fiera annuale nei giorni 27, 28 e 29 giugno. Sulla spiaggia di Brancaleone era stato previsto lo sbarco della spedizione preparata dai fratelli Bandiera, poi affrettata verso la foce del Neto, molto più a nord. Nel 1847, anche Brancaleone, al grido di liberta’, ebbe i suoi perseguitati politici.418220_2995968735850_1043875005_n
Nei moti rivoluzionari del 1847 contro i borboni e a favore della liberta’, Brancaleone non rimase fuori, anzi partecipo’ attivamente, specialmente con Giovanni Medici, il quale si spostava anche nei paesi della fascia ionica a raggiungere i capi dei moti rivoluzionari, Verduci e Michele Bello. Secondo gli atti di polizia, Giovanni Medici e suo cognato Vincenzo Mesiani, entrarono nella caserma di Bianco riuscendo a prelevare ai gendarmi, polvere da sparo e moschetti che servivano per la causa. Oltre a Giovanni Medici e Vincenzo Mesiani, vi erano altri rivoluzionari come il dottor Giulio Vitale che con trenta uomini armati raggiunse Michele Bello fino ad Ardore, Antonio De Angelis, Gaetano del Vecchio, Pietro Musitano, GiovanBattista e Pietro Raso, Silvestro Terminelli.

Nel 1858, anche a Brancaleone arrivava la linea telegrafica e Gaetano del Vecchio fu il primo capoposto telegrafico.

Il 13 settembre del 1861 sbarco’il carlista Josè Boryes per tentare la riconquista del Regno ai borboni; seguì uno sbarco, rimasto senza esito e impedito sul nascere, di una spedizione organizzata a Marsiglia dal generale francese Clary a favore dei borboni, poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Una spedizione destinata a fare insorgere la Sicilia “tradita” dal governo dei piemontesi, fu affidata a Don Josè Boryes, uno dei piu’ accaniti difensori del carlismo in Spagna. Egli sbarco’ a Brancaleone col suo luogotenente, Langloise, gia’ capitano degli zuavi del Papa e con cento spagnoli, nella ferma fiducia che al suo primo apparire, tutte le popolazioni, sarebbero insorte in favore di Francesco II. Brancaleone subi’ ulteriori danni nel terremoto del 1905 e dopo il terremoto del 1908, veniva deliberato il trasferimento dell’abitato da farsi a totale carico dello Stato, ma nel 1928 il provvedimento deliberato veniva revocato. Dopo la prima guerra mondiale (1915-18), vi furono movimenti consistenti per l’occupazione delle terre. Lo spirito di ribellione, animato dalle forze socialiste, era tale che un proprietario terriero, l’avv. Antonio Romano, che era stato candidato alle elezioni politiche su posizioni radicaleggianti, propose addirittura la costituzione di una milizia della salvezza da contrapporre alla invadenza delle leghe contadine fondate e dirette dal socialista dott. Vincenzo de Angelis.
Brancaleone fu luogo di ispirazione letteraria, in pagine particolarmente significative per lo scrittore Cesare Pavese, inviato al confino proprio a Brancaleone dal regime fascista (1935-1936).
Nella vita quotidiana del paese, vi era una netta distinzione sociale senza mescolanze tra le varie classi o ceti. Addirittura, gli anziani narravano che durante le ore di passeggio nella piazza del ponte, la piazza veniva divisa da un tronco di legno, in modo che i contadini o braccianti si limitavano a passeggiare nello spazio che gli era stato assegnato. L’economia del paese era basata sulla pastorizia, sulla produzione della seta e del lino, sull’agricoltura (soprattutto grano, uliveti e fichi), sull’apicoltura e sulla cacciagione. I proprietari, o possidenti, erano poche famiglie e mantenevano potere e proprietà contraendo vincoli di matrimonio con le famiglie dello stesso rango del paese o dei paesi vicini, e vi era quasi sempre un rapporto di parentela fra di loro. Gli ufficiali dello stato civile, i capi della polizia municipale cioè i capi urbani, i sindaci, i notai, i cancellieri e i preti appartenevano quasi sempre alle stesse famiglie. Nella prima metà dell’Ottocento, il paese contava tre laureati: il medico Antonio Piromalli, l’avvocato Vincenzo Mesiano, il farmacista Fortunato Musitano, nella seconda metà dell’ottocento vi erano il medico Filippo Vitale, il medico Giulio Vitale, l’avvocato Antonio Romano venuto da Palizzi, e successivamente il medico Vincenzo De Angelis. Per quanto riguarda le donne la prima diplomata è stata la maestra Concetta De Angelis nel 1912, e la prima laureata, la professoressa Pia Lilia Medici nel 1926, figlia di Domenico e Caterina Musitano.

La maggior parte delle donne del popolo svolgevano il lavoro di filatrici; altre in minore numero, erano tessitrici; altre ancora erano contadine e domestiche. I mestieri degli uomini erano quelli del bettoliere, dello stagnino, del mulattiere, del cavallerizzo, del mugnaio, del calzolaio, del muratore, del contadino, del barillaio e l’industriante (cioè quello che riusciva a sopravvivere senza mestiere ma per lo più commerciando). Verso la fine del 1800 fu meglio organizzata l’attività della pesca; fra le prime famiglie di pescatori, si distinguevano quelle degli Aliano e degli Alessi, quest’ultima originaria di Napoli. I massari, o mezzadri, appartenevano alla classe media, e per quell’epoca vivevano in quasi agiatezza. Ancora oggi a Brancaleone abbiamo una tradizione che i massari ci hanno tramandato, e cioè l’usanza di donare il pane dopo la commemorazione funebre: un “gesto” che aveva un significato non soltanto religioso.

FONTE STORICA: Dott. Vincenzo De Angelis

Brancaleone è stata definita “Città delle tartarughe di mare” perché sulle sue spiagge, così come su quelle dei comuni vicini, depone le uova la Caretta Caretta, facendo di questo tratto di costa l’area più importante di deposizione in tutta l’Italia.

11781762_515039418650093_3514623817559850050_n

11377395_492080754279293_3547081123364744670_n

La città delle Tartarughe Marine con i suoi 9 km di costa sabbiosa, assieme alle spiagge dei paesi limitrofi, crea le condizioni ideali per la deposizione delle Tartarughe Marine Caretta Caretta. Tuttavia, il tratto di costa ionica compreso tra Capo Bruzzano e Capo dell’Armi costituisce la più importante area di nidificazione della Tartaruga marina nell’area continentale. Al fine di tutelare questa specie in via di estinzione, da qualche decennio, la spiaggia di Brancaleone è stata riconosciuta quale Sito di Importanza Comunitaria come sito per la nidificazione della TARTARUGA MARINA CARETTA CARETTA (SIC IT9350160).

Brancaleone marina ospita il Centro Recupero delle Tartarughe Marine, gestito da volontari dediti alla tutela delle tartarughe e, tra i gli svariati compiti, effettua il recupero e la cura degli esemplari catturati accidentalmente e, con il coinvolgimento dei pescatori, conduce la sperimentazione e l’applicazione di sistemi di pesca a basso impatto ed, infine, svolge sensibilizzazione ed educazione ambientale al pubblico.

Altre organizzazioni si preoccupano, invece, di proteggere i nidi di Tartaruga Marina più esposti alle insidie sia naturali che derivati dalle attività dell’uomo, durante i mesi di incubazione fino alla gestione dell’intero processo della schiusa delle uova.

Questo fenomeno da anni è stato da richiamo per numerosi locali e turisti che durante il periodo delle schiuse, generalmente da luglio a settembre, accorrono sulle spiagge per ammirare questo meraviglioso sfoggio della natura.